Una solitudine forzata

È inutile negarlo, questo periodo di solitudine forzata ha radicalmente cambiato alcune mie convinzioni e mi ha fatto scoprire ancora di più quelle che erano o meglio quelle che sono le mie debolezze.

Sotto alcuni punti di vista mi ha anche dimostrato ciò che sono i veri valori, le amicizie, le non amicizie. È stato un periodo importante per me. Sono riuscito finalmente a capire il perché commettevo alcuni errori che attribuivo solamente ad un eccesso di generosità ma che avevano radici ben più profonde.

Ho imparato ad accettare che nella vita si può anche “perdere” e perdere lo metterei tra virgolette perché le vittorie di Pirro hanno spesso ingannato tutti e sono più dannose di una sconfitta con danni limitati.

Ho imparato a stare bene da solo. Ho imparato a tagliare ciò che non apporta nulla. Ho imparato a volermi più bene essendo più egoista.

Ho imparato che non si può piacere a tutti e che il confine tra altruismo e ingenuità è molto sottile.

Sto imparando a dire NO. Avrei dovuto farlo tanto tempo prima. Meglio tardi che mai.

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Un “nuovo” me?

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Bentornato a me. Un nuovo me. Tante cose sono cambiate ed io sono qui a chiedermi se la scrittura si sia adeguata al mio nuovo modo d’essere. Per confermare ciò ho riletto i racconti precedenti. Beh. Devo ammettere di non essermi vergognato. Era come guardare un film per la seconda volta. Conosci già il finale, sai che il protagonista ha commesso errori e non ha notato cose che avrebbe dovuto ma nonostante tutto non riesci a biasimarlo. Forse avresti fatto lo stesso anche tu, mio caro nuovo Francesco.

Certo, sei meno ingenuo ed hai perso quella straordinaria purezza tipica delle anime fortunate che poco avevano conosciuto il torbido del genere umano. Hai meno slancio emotivo verso cose, luoghi e persone, gli avverbi di tempo ti spaventano/esaltano il giusto e vivi con il freno a mano tirato che è tipico della saggezza e della età adulta che hai sempre voluto sfuggire.

Una fase di trasformazione – Sei un’araba fenice rinata dalle proprie ceneri. Rinata con gli stessi tratti distintivi, lo stesso cuore ma con cicatrici grandi come monito. Cicatrici che altro non sono che vita vissuta, chilometri percorsi, viaggi insperati, gioie e dolori.

E adesso ti poni dinanzi a questa quarantena con rinnovate promesse. Meno voli pindarici e maggiore cautela. Quanta noia, cazzo!

Ma cosa sarebbe stata la vita, cosa ne sarebbe stato del genere umano senza i visionari? Senza coloro i quali non hanno imparato nulla dalle loro delusioni ed hanno spinto e creduto e amato senza soluzione di continuità?

Quanti viaggi a vuoto prima di arrivare alla meta. Quante cadute prima di fare quel grande salto. Quante sconfitte prima di arrivare a quella agognata vittoria.

Se ci fermassimo ogni volta che proviamo un dolore forte saremmo sempre fermi, costantemente impauriti dalla nostra ombra e da ciò che il passato ci ha insegnato.

Homer disse a Bart: “Hai fatto del tuo meglio e hai fallito. La lezione è: non provare mai”. I Simpson rappresentano una delle più grandi opere creative della modernità e lungi da me schierarmi contro Homer ma mio caro amico cianbelloso mi sa che ci proverò di nuovo. Lo farò a modo mio. Con maggiore cautela, magari, ma a rischio anche di farmi male. Se vivi la vita aspettando che ti colpisca forte prima di farlo te non hai davvero vissuto. E me lo hai insegnato proprio te che hai fatto a botte con Bush, che sei stato astronauta, Barone Birra ed hai osato sfidare Thomas Edison.

Vuoi vedere che alla fine non sei poi cosí cambiato?

 

 

 

 

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Dedicato a te

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La romanzo un po’. Come piace a me.

Io che leggevo la Gazzetta sin da piccolo. Ciao Ganz. Ciao Branca. Ciao Schillaci. Careca come fa quando segna? E Benito Carbone é davvero l’erede di Zola? Miguel Indurain era sempre gentile con me, gli consigliavo di non essere cattivo con Chiappucci. Di fargli vincere almeno un Tour perché era giusto cosí.  E quanto ho odiato Pantani sull’Aprica. Lui doveva fare il gregario e invece si metteva in mostra. Ma aspetta…io lo adoro il Pirata. Lo amo alla follia. L’ho amato alla follia. Oltre Madonna di Campiglio. E per sempre.

E Agassi chi cazzo si crede di essere? Sampras era il modello da seguire.

Com’era bella Gabriela Sabatini. Ero troppo piccolo per lei ma le davo consigli su come gestire la pressione dell’essere campionessa. Io che una racchetta in mano non l’ho presa mai, sapevo come indirizzare i suoi colpi.

Insieme a gioire per il Settebello a Barcellona. Attolico, Campagna, Porzio. Amici. E Velasco che assomiglia a Herrera. Filosofi prima e allenatori poi.

E poi mi raccontavi di Di Stefano, del Real imbattibile, di quando Pelé fu maltrattato da Trapattoni e che Maradona una volta riuscí a passare in mezzo a tre difensori della Samp e ancora stavi lí a chiederti come fosse stato possibile.

Ma davvero fu evitata una guerra civile grazie a Coppi? E sapessi quanto era forte Valentino Mazzola. Il figlio era solo una pallida imitazione.

I racconti di Brera. Quelle parole che andavano a confondersi col gesto sportivo per divenire un corpo unico. Non c’era vittoria senza una voce narrante. La sublimazione del momento. Tac. Una foto fatta al momento giusto.

I tuoi racconti.

Auguri Nonno!

 

 

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Esistenzialismo…

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E mi siedo qui a sentire il rumore del mare. Pensando e dunque scrivendo. Due azioni che non riesco a scindere piú ormai. Ad ogni pensiero corrisponde uno scritto di forza uguale e sovente contraria. Che sia moto rivoluzionario non mi é lecito saperlo ancora.

Il mare é malato di possesso come noi comuni mortali? Oppure prende ció che la natura gli dà e restituisce alla Terra senza avidità alcuna? Ormai vedo, sento e respiro gesti che mi scuotono l’anima. Il confine tra l’ambire sempre e l’accontentarsi mai quanto é miserabilmente labile? Cosa stiamo diventando? Macchine costruite per fagocitare tutto e prendere e pretendere la roba d’altri, la donna d’altri, o siamo ancora anime vuote che colmano la propria insicurezza collezionando “cose”? Magari entrambe le ozpioni sono valide.

Ho come l’impressione che l’uomo stia perdendo del tutto il rapporto con la propria spiritualità. Quel viaggiare dentro il proprio subconscio che spaventa da morire ma che rappresenta la piú grande scoperta che l’umanità abbia mai fatto. Accumuliamo nozioni ma mai profonda conoscenza. Ci fregiamo di titoli che mettiamo in bacheca ma falliamo nel guardarci allo specchio.

E piú affermiamo il proprio Ego in questo mondo, piú abbiamo paura di averci a che fare per davvero. Abbaianti e insicuri.

Camminiamo mano nella mano con persone che nemmeno conosciamo per sconfiggere la paura del buio. Il buio della nostra anima. Sfibrata, non alimentata e ormai totalmente abbandonata.

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Il Traduttore

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Suoni che non sono miei. Lettere che fanno parte di me ma che non saranno mai Me.

Artigiano laborioso. Mero esecutore di uno spartito.

Sono il tramite mai la fonte.

Sono essenziale mai originale.

La mia opera ha valore ma non ha nome.

Sono il letto su cui scorre il fiume.

Sono colui che toglie le dighe e permette il flusso.

Colui che si specchia senza riconoscersi.

Ho un mestiere. Supero le barriere linguistiche. Eppur, a volte, i muri fanno male.

E grido. Grido a tutti il mio nome. Ma nessuno mi sente. Le luci non sono su di me. Le luci non saranno mai su di me.

Raccolgo i pezzi. Li assemblo di nuovo. Magari un giorno saranno miei per davvero.

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Ali che non sanno parlare

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Mi son sempre chiesto cosa fosse la libertà. E se la vita che attualmente conduco si possa definire libera.

Libertà che non ho mai confuso con anarchia.

Libertà che distinguo da egoismo.

Libertà che ha comunque tratti poco nitidi per essere capiti.

Siamo persone libere? Cosa facciamo in nome di questa fantomatica libertà? Parola forse abusata. Valore mai scoperto fino in fondo.

Vivere secondo natura è libertà o utopia?

Vivere senza condizionamenti è libertà o solo cieca ipocrisia?

Cosa avete fatto voi per conquistarvi la vostra libertà? Siamo davvero dotati di “libero” arbitrio o siamo solo il frutto stereotipato di maschere già messe in atto nel passato?

È lo stesso amare un atto libero o frutto di condizionamenti e pensieri opportunistici?

Torniamo allo stesso quesito di sempre.

Ma la libertà, cos’è? Io non credo sia un elemento oggettivo. Non lo sarà mai perché è un valore che non si può racchiudere entro le rigide mura di formule matematiche.

La libertà per me è una chimera. Io che vivo troppo spesso per non rendere infelici gli altri, sacrifico il farmi volere bene sull’altare della libertà?

Sull’altare, quindi, di un qualcosa che non so cosa sia ma che so di non avere.

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Visioni collettive

Il cielo

 

E seduto su questa panca mi vien da pensare al giorno in cui un uomo fu visto volare.

Aveva ali dorate e uno strano candore. Per alcuni era Nostro Signore.

“Ma cosa dite?” sentenzió il saggio. “Ascoltate me quello era solo un miraggio”.

Spiegó che i riflessi del sole avevano ingannato tutti coloro che il cielo han guardato.

“Noi sappiamo cosa abbiam visto” la folla gridó. “Un dio o un uomo non so”.

“Siediti qui e guarda lassú. Magari ripassa e lo vedi anche tu”.

Il saggio fuggí via con una lacrima in viso ma alzó lo sguardo alla ricerca di un sorriso.

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Un sogno a cinque cerchi

The Olympic rings are set on the pitch during the

Questo weekend sará diverso da tutti gli altri.

Daniel non verrá. Il Passato che lui rivendica con orgoglio e passione ha bussato troppo forte.

Ci sono le Olimpiadi che incombono ed io avrei voluto tanto sentire una di quelle sue storie che hanno il sapore dei sogni e l’odore del fango. Quel misto agrodolce che é poesia e stridere dei freni; speranza e profonda disperazione.

Sorrido perché lo immagino accanto a me a dirmi: “Francisco, i vincitori sono esempi sbagliati. Illudono le persone comuni. Non mi piacciono. Bisogna raccontare la storia di Derek Redmond ai ragazzi per far capire loro che la vita é una bestia feroce e che tu non puoi fare altro che mostrargli i tuoi denti.

Quel ragazzo era il favorito alle Olimpiadi di Barcellona del 1992. Nessuno poteva batterlo nei 400 metri piani. Nessuno tranne il maledetto fato che gli fece strappare, in semifinale, il bicipite femorale della gamba destra.

Francisco, riesci a immaginare il dolore di vedere sfumare tutto per un qualcosa che non dipende dalla tua volontá? Un atleta si allena per 4 anni con un solo chiodo fisso in testa e poi un “puto” infortunio ti mette KO. Dannazione, mi viene rabbia ancora a pensarci.

Sai cosa fece il buon Derek? Quella corsa la terminó. Perché lui quella gara voleva portarla a termine. Saltelló con la gamba sinistra e poi (mi viene da piangere Francisco) il padre scavalcó tutto il cordone di sicurezza e lo portó in spalla fino al traguardo.

Derek-Redmond-1992

Una delle scene piú belle di sempre. Non ti viene la pelle d’oca Francisco?”

In bocca al lupo Daniel. E si. Io ho la pelle d’oca.

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La lettera

Ghiggia

Questo sabato al parco non c’era.

“Francesco. Sono partito per l’Argentina. Vado finalmente a chiudere i miei conti col passato. Ci vediamo tra due settimane, stesso posto, stessa ora”. Non so come, ma Daniel aveva trovato modo di farmi recapitare una lettera da un mocciosetto pieno di lentiggini. E aveva anche scritto bene il mio nome.

I conti col passato…parole impegnative le sue. Aveva tanti scheletri nell’armadio Daniel e trovava sempre il modo di tirarli fuori nelle storie che mi raccontava. Mi lasciava sempre col dubbio che i protagonisti dei suoi racconti fossero personaggi a lui vicini.

Lui che non amava nemmeno finire ció che mi narrava, stava per andare a chiudere col passato. Ma che passato? Mah. Che profondo mistero questo Daniel! A volte credo quasi sia il frutto della mia fantasia.

Da buon argentino una volta rispose cosí alla mia domanda. “Ghiggia. Avrei voluto essere lui. Come ha fatto piangere lui i brasiliani, nessuno mai”.

Si riferiva al Maracanazo e a quel gol che diede la vittoria mondiale all’Uruguay. Il grande Brasile sconfitto e umiliato in casa.

Non mi sorprese questa risposta. “Solo tre persone nella storia hanno fatto zittire il Maracanã con un gesto: il Papa, Sinatra e io”. Questa frase avrebbe potuto benissimo dirla Daniel.

 

 

 

 

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Non nominare Carlos

Carlos Monzon

Sapevo che stava per arrivare.

Daniel non era mai in ritardo.

Non aveva un cellulare. “Mi sento libero cosí”… ed io schiavo delle convenzioni tecnologiche moderne avevo sempre paura di non rivederlo piú.

Il sabato mattina al parco. Ore 9. Per lui bastava questo.

“Daniel e se qualche volta non posso venire come faccio ad avvertirti?”

“Io al parco di sabato ci vengo comunque Francisco e se vedo che manchi per piú di due settimane ti cerco tra gli elogi funebri”.

Amavo Daniel perché era cosí diverso da me. Sembrava venire da un altro mondo.

“Moro viejo nunca será buen cristiano”, mi ripeteva ogni volta che cercavo di convicerlo che avere almeno un numero di telefono  gli avrebbe reso la  vita migliore.

“Francisco, ma tu lo sai che mio padre era grande amico del pugile piú forte della storia argentina? Non si parlano piú da quel maledetto giorno a Mar del Plata. Nemmeno lo si poteva nominare piú a casa.  Una volta le presi perché mi beccó che stavo leggendo un libro dedicato alle sue gesta. Le presi di brutto. Anche ora che te ne sto parlando ho il terrore che possa sbucare alle spalle e darmele con quella sua maledetta cinghia”

“Daniel ma era Carlos Monzon e ti riferisci all’episodio dell’uccisione di sua moglie Alicia, vero?”.

“Zitto, pazzo. Potrebbe sentirci”.

 

 

 

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